Presenze etniche e linguistiche in calabria

Il percorso museale è introdotto da una sezione che illustra la distribuzione delle tre minoranze etniche e linguistiche presenti in Calabria (Albanesi, Occitani e Grecanici), focalizzando l’attenzione sull’origine e sulla storia delle comunità grecaniche, eredi dell’antico passato magno greco e bizantino che interessò in modo particolare il versante meridionale dell’Aspromonte, dove ancora oggi persiste l’uso della lingua greco-calabra.

I Grecanici

Nella Provincia meridionale di Reggio Calabria, piccole comunità parlano ancora un’antica lingua di origine greca. Sono i Greci di Calabria, gli eredi della migrazione greca, riversatasi tra l’VIII e il VI secolo a. C. sulle coste ioniche dell’Italia. Da allora l’identità ellenica si radicò a tal punto da sopravvivere alla latinizzazione romana. Il successivo arrivo dei Bizantini, nel corso del VI secolo d. C., riportò la Calabria nell’orbita delle relazioni culturali con l’Oriente alimentando le antiche tradizioni culturali che si erano originate al tempo della Magna Grecia. A preservare la grecità calabrese dalle successive contaminazioni straniere fu l’isolamento in cui vissero le comunità grecofone, confinate nell’Aspromonte fin dal IX secolo al fine di sfuggire alla minaccia dei saraceni prima e dei turchi poi. La cultura dei Greci di Calabria si forgiò quindi lontano dal mare e all’interno di un microcosmo rurale dominato da montagne impenetrabili, intervallate dai letti pietrosi delle fiumare, gli unici corsi d’acqua e le sole vie d’accesso in una terra difficilmente raggiungibile anche dalla vicina Reggio. Il rapporto tra i Greci di Calabria e le loro montagne, fonte di vita e di sostentamento, cristallizzò le abitudini e gli stili di vita di pastori e contadini che consacrarono le loro vite alla terra. La ruralità divenne pertanto il perno fondante dell’identità dell’Aspromonte Greco, il quale ancora oggi regala suggestioni del proprio passato non solo nella lingua, ma anche nella gastronomia e nell’artigianato.

Gli Occitani

Questa antica lingua, utilizzata fin dal Duecento nel Sud della Francia, giunse in Calabria con i migranti valdesi in fuga dalle persecuzioni e dalle carestie che colpirono nel tardo medioevo le valli piemontesi, in particolare la Val di Pellice. Fiorenti comunità di mercanti si insediarono nel Trecento in Calabria, nella valle del Crati e sui monti prospicenti la costa tirrenica cosentina, nei borghi di Guardia, San Sosti e Montalto Uffugo. Nel corso del Cinquecento sposarono la Riforma Protestante, condividendo le proposte luterane espresse nel sinodo di Chanforan (1523), anche grazie continui rapporti con predicatori valdesi giunti in Calabria dal Piemonte. La condivisione delle idee di Calvino scaturì la dura reazione della Chiesa di Roma. Considerati eretici, subirono le persecuzioni della Santa Inquisizione. Nella notte del 5 giugno del 1561 i valdesi di Montalto Uffugo furono infatti oggetto di un feroce massacro. Stessa sorte toccò alle comunità luterane di San Sosti e Guardia. Oltre alla confisca dei beni, fu vietato loro l’uso della lingua e della scrittura occitana, il matrimonio tra i sopravvissuti e la facoltà di riunirsi in gruppo. Fu imposto di andare in chiesa prima di recarsi a lavoro, indossare l’abitello giallo ed offrire soldi per accendere ceri al Santissimo Sacramento. Si giunse persino ad installare nelle porte delle case uno spioncino apribile dall’esterno che dava modo al clero cattolico di poter controllare, in ogni momento, i superstiti, convertiti a forza al cattolicesimo. Benché costretta a piegarsi alle leggi papali, la comunità occitana non si lasciò mai annientare definitivamente, sussurrando sottovoce la lingua proibita dei trovatori provenzali, ancora oggi parlata nel borgo di Guardia Piemontese.

Gli Albanesi

Gli Albanesi si stanziarono in Italia a partire dal XV secolo, in concomitanza alla conquista turca dell’Impero Bizantino. L’emigrazione albanese, proseguita ad ondate diverse fino al Settecento, fu inizialmente incoraggiata dagli Aragona, i quali in cambio di terre, chiesero il sostegno a Gjergji Katrioti da Croia, meglio noto con il nome di Skanderbeg, per reprimere la congiura dei Baroni e l’impellente avanzata islamica verso le coste italiane. Attualmente gli arbëreshë costituiscono la minoranza etno-linguistica più numerosa d’Italia. Le comunità più importanti si concentrano in Calabria, nelle provincie di Cosenza, Crotone e Catanzaro; in misura minore in Campania, Molise, Basilicata, Puglia e Sicilia. La cultura arbëreshë è determinata da elementi caratterizzanti che si rilevano nella lingua, nella religione, nei costumi, nell’arte, nella gastronomia e in una serie di tradizioni popolari, gelosamente conservate all’interno delle singole comunità. La religione cristiana di rito greco-ortodosso è regolata dall’Eparchia di Lungro, istituita da Benedetto XV nel 1919, staccando le parrocchie che conservavano ancora il rito greco, dalle diocesi calabresi di rito latino. Insieme alla lingua, la spiritualità di origine orientale sono uno dei tratti fondamentali arbëreshë e non solo rispetto alla restante popolazione italiana ma anche nei confronti degli albanesi della madre patria, convertiti in maggioranza all’Islam. Temi ricorrenti nella cultura arbëreshë sono la nostalgia della patria perduta e il ricordo delle gesta di Skanderbeg: simbolo identitario della diaspora albanese. Non è un caso che la danza tipica, detta vallja, rievoca, nei movimenti dei danzatori, la tattica di combattimento adottata da Skanderbeg per sconfiggere i Turchi.

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